Ingredienti:
- Oco giovane di circa 3 kg
- 2 carote
- 1 costola di sedano
- 2 spicchi d’aglio
- Qualche foglia di salvia, alloro e rosmarino
- 80 gr di guanciola toscana stagionata
- Olio extravergine di oliva q.b.
- Sale e pepe q.b.
Preparazione:
Chi conosce la vita di campagna sa che gli animali da cortile vengono allevati nel pollaio del podere, tutti i prodotti di cui necessita la famiglia si trovano già intorno casa.
Provvedete quindi a prelevare l’oco più bello e più grasso e preparatelo per il pranzo.
Lavate e pelate le carote e il sedano dell’orto, staccate una cipolla dalla treccia e tagliate tutto finemente con un coltello (all’epoca si usava la pennata) aggiungendo la gota di maiale stagionata che essendo grassa si scioglierà meglio in cottura, dando più gusto alla carne.
Continuate a tritare finemente fino a dare agli ingredienti una consistenza cremosa.
Pulite l’oco togliendo le interiora e il collo che serviranno per preparare il sugo per il primo piatto.
Fiammeggiate la pelle per togliere i residui di piumaggio e praticate dei piccoli fori con il coltello appuntito sulla carne.
Riempite i fori con il trito che avete preparato in precedenza e massaggiate la carne con olio e sale per insaporire bene il tutto.
Mettete la carne in una teglia capiente e irrorate ancora con un po’ d’olio extravergine di oliva Toscano del raccolto del settembre precedente.
Ponete la teglia nel forno a legna, precedentemente scaldato e lasciate cuocere per circa 2 ore.
Un tempo per accompagnare l’oco in porchetta si usava cuocere in forno una teglia di patate, chiaramente dell’orto e condire un ricco vassoio di insalata fresca.
Non deve mai mancare una damigiana di buon vino rosso Toscano, vendemmiato e riposto in cantina a fermentare a tempo debito.
Generalmente , poiché la regola principale è che niente va sprecato, le parti dell’oco che non vengono utilizzate o quelle meno pregiate come le ali e il collo si utilizzano per la preparazione del ragù per condire la pasta.
La preparazione del ragù può sembrare cosa semplice, in realtà è grazie alle sapienti mani delle massaie, che sapevano dosare gli ingredienti alla perfezione e tenevano per ore il tegame sul focolare o la stufa a legna, che il ragù prendeva un sapore speciale irripetibile e inimitabile, che ritorna spesso nei ricordi e nei racconti di chi ha avuto il piacere di gustarlo.
Racconti dal passato….
Gli ingredienti utilizzati ci dicono che le ricette di una volta sono semplici come i commensali che le consumavano ma allo stesso tempo ricche di gusto e di sapori unici dati dalla passione che ogni membro della famiglia metteva nel produrre i propri ortaggi, curare gli animali da cortile e il bestiame, sistemare i propri campi, uliveti e vigne. Amore e passione che si ritrovano nel piatto!
“Giugno 1960”
In Valdorcia è arrivato finalmente il tempo di mietere il grano ormai maturo e colorato d’oro, i chicchi satolli stanno a malapena nella spiga e il fruscio del vento che li accarezza li ha asciugati al punto giusto.
I contadini sono già pronti con la falce in mano per ritrovarsi nel campo, il lavoro inizia al sorgere del sole. Le donne da una parte del campo formano dei fasci che chiamano balzi, sistemati pian piano in cerchio a formare una “mucchia” dove rimarranno per circa un mese a finire di seccare.
Segue la carratura del grano, ovvero la raccolta dei fasci caricati con i forconi dai contadini sul carro trainato dalle vacche, poi sistemati in grosse mucchie nell’aia del podere, dove rimangono fino al giorno della trebbiatura.
Già di buon mattino tutti hanno i loro compiti da svolgere, gli uomini aspettano nell’aia l’arrivo dei macchinisti, di solito 4 persone che portano il macchinario per la trebbiatura nei poderi che ne fanno richiesta.
Il capo famiglia, detto il Capoccia, dirige i lavori e ha una bella responsabilità sulle spalle ovvero la conferma che le scelte fatte e il lavoro di mesi vada a buon fine, nonostante le intemperie e i parassiti che minacciano il raccolto. Il risultato della trebbiatura deve essere soddisfacente per permettere il sostentamento della famiglia durante tutto l’anno.
Le donne sistemano gli animali da cortile, la casa e si dedicano alla preparazione del pranzo, i più piccoli, che trascorrono il loro tempo a giocare nei dintorni si danno da fare per portare acqua e vino ai lavoratori, arrivano anche i vicini di podere per lo”scambio” (ovvero il contraccambio di aiuto tra famiglie).
La trebbia mossa dal trattore viene sistemata dove ha inizio il lavoro di tutta una giornata che terminerà solo quando il grano sarà tutto lavorato.
Nell’aria c’è atmosfera di festa e fermento, anche se la giornata lavorativa è molto impegnativa l’occasione di ritrovarsi insieme per un lavoro comune riempie gli animi di gioia.
Sembra quasi una cerimonia per festeggiare la fine dei lavori nei campi.
Chi recita stornelli o battute, chi canta e chi scherza, l’atmosfera è allegra aiutata dal miglior vino lasciato per l’ occasione e per i bambini è una bella opportunita’ per vedere gente e di stare in compagnia mentre si divertono a giocare ai quattro cantoni, a tana, al gioco della campana.
Il lavoro ininterrotto della trebbia procede con i balzi che vengono alzati dai forconi fino a cadere nel macchinario che divide, la paglia, dalla lolla (o pula) e dal grano che prontamente viene raccolto in sacchi di juta e portato nel granaio, dove si conserva per tutto l’anno, all’occorrenza viene portato col carro al mulino per ricavarne sacchi di farina da almeno 100 kg per la preparazione della pasta e del pane settimanale.
In casa la farina si conserva nella madia insieme alla pasta madre, per il pane, che viene custodita gelosamente e governata ogni giorno per mantenerla sempre in vita.
Tolto il grano, la lolla o pula rimane stivata nell’aia e la paglia raccolta a formare un grande pagliaio con al centro lo stollo che tiene saldo il tutto. La paglia vieneprelevata quando necessario per le stalle del bestiame.
Il lavoro frenetico si interrompe solo nel momento della colazione ,che è sostanziosa, per consentire di arrivare bene all’ora di pranzo. Spesso consiste in piatti di baccalà in umido o sgombro o tonno con il pane fatto in casa oppure zuppa di cipolle, il tutto accompagnato da vino rosso della casa.
Il lavoro riprende a ritmo serrato fino all’ora del pranzo, il momento più bello della giornata.
Tutti si siedono insieme intorno alla tovaglia bianca stesa a terra, che viene apparecchiata con il servizio “buono” riservato alle occasioni di festa e imbandita con un pranzo a base di minestra in brodo di oco, pasta al ragù di oco, oco in porchetta con patate al forno e insalata, per finire ciambellone e cantucci con vinsanto e vino in abbondanza .
Ovviamente si siede a mangiare solo chi ha partecipato al lavoro. Le donne della casa servono il pranzo e poi quando gli altri hanno terminato mangiano insieme ai figli.
L’atmosfera di convivialità e condivisione si respira nell’aria; la fatica del lavoro e le incertezze della vita vengono alleviate dalla spensieratezza delle giornate in compagnia e dalla consapevolezza di avere l’appoggio della famiglia e dei vicini di casa con i quali c’è sempre un rapporto di disponibilità reciproca.
Una volta la regola era “non possiedo niente ma quel poco che c’è è anche tuo”.
La giornata volge al termine e stanchi per la grande fatica tutti si apprestano a prepararsi per la notte, con una soddisfazione nel cuore, quella di aver portato a compimento nel migliore dei modi uno dei lavori più importanti; essersi assicurati la farina per tutto l’anno, perché per il capo famiglia e nel trascorrere della sua semplice vita, questa è la cosa più importante.
(con questa ricetta partecipiamo al contest #Storie di piatti di @Vetrina Toscana)